Durante una gara con arco storico, mi sono accorto di una cosa che ho visto ripetersi in moltissimi arcieri, direi nel 70-80% dei partecipanti: quasi nessuno riusciva ad arrivare davvero all’ancoraggio. E quei pochi che ci arrivavano non riuscivano a restarci per più di un battito di ciglia. Questa è una delle dinamiche più comuni del target panic nel tiro con l'arco tradizionale e storico.
Il risultato? Frecce rilasciate in fretta, spesso senza controllo, raramente vicine al centro.
Una dinamica che conosco bene, perché in passato ci sono passato anch’io: il target panic.
La differenza vera non sta solo nel punteggio finale, ma nella sensazione che resta dopo il tiro.
Il sollievo di aver eseguito un buon gesto tecnico… o la frustrazione di un tiro strappato.
Il sentirsi padroni dell’arco e della gara… o vittime della propria ansia.
E qui sta la linea sottile che separa chi affronta il target panic da chi ne è sopraffatto. In questo testo troverai delle riflessioni per superare il target panic con l'arco tradizionale e storico.
“Non è target panic, è che mi gira così”
Dopo un tiro disastroso, le reazioni sono sempre uno spettacolo a sé.
C’è l’arciere che si incazza e maledice arco, frecce, vento e antenati fino alla settima generazione.
C’è quello che si mortifica in silenzio, sprofondando nella vergogna.
C’è quello che cerca scuse creative: “Oh, ma la freccia prima era perfetta!” (spoiler: non lo era).
E poi c’è chi si rifugia nel classico: “L’importante è divertirsi”.
Certo… sotto il sole cocente, tirando malissimo, con l’arco che sembra ridere di te. Divertentissimo.
Parlando con diversi arcieri ho raccolto un campionario di motivi per cui non si arriva all’ancoraggio. Alcune sono sincere, altre quasi poetiche:
“Il mio cervello mi dice di rilasciare subito.”
“Mi sono fatto male, ora non riesco più ad arrivare all’ancoraggio.”
“Prima ci riuscivo, adesso no.”
“Mi ci vorrebbe un clicker.”
La prossima mi è sembrata particolarmente interessante, che ci apre la porta alla verità nuda e cruda del target panic:
“Non so cosa fare dopo l’ancoraggio.”
Ed è proprio qui che inizia il cuore del problema.
Il nemico invisibile: capire il target panic nel tiro con l'arco
Quando un arciere “non sa cosa fare dopo l’ancoraggio”, sta descrivendo, senza saperlo, il cuore del target panic.
Non è pigrizia, non è mancanza di tecnica, non è che “non sei portato”: è il cervello prende il comando prima del tempo, convinto che l’unica cosa da fare sia liberarsi della freccia. Non è una patologia 🙂lo fa per proteggersi, ed è piuttosto normale, lo vediamo tra poco in dettaglio.
Non importa se non sei stabile, se non hai mirato, se il gesto non è completo: il tuo dito, il tuo braccio e la tua volontà si ribellano, e la freccia parte da sola.
Il paradosso è che più cerchi di controllarlo, più peggiora.
È come se il tuo sistema nervoso dicesse: “Ok, so che devo arrivare all’ancoraggio… ma appena ci arrivo mi scappa di rilasciare”.
Un riflesso condizionato, simile a quando ti arriva in faccia una pallina e chiudi gli occhi senza volerlo.
Il risultato?
Tiri anticipati, senza controllo.
Difficoltà a rimanere fermi in ancoraggio.
Ansia crescente ogni volta che alzi l’arco.
Ed ecco perché tanti arcieri fingono che non esista: ammetterlo significa ammettere che non sei tu a controllare il tiro, ma il tiro a controllare te.
La buona notizia? Il target panic non è un marchio di fabbrica, né una condanna eterna.
Si può riconoscere, affrontare e superare. Ed è piuttosto semplice, se si sa come fare.
Ma, e qui sta il punto, serve smettere di giustificarsi e iniziare a trattarlo come un problema tecnico vero, non come un dettaglio “di poco conto”.
Come arciere, ho avuto problemi di ogni tipo, dalla spalla che saliva, all’allineamento che non riuscivo mai a trovare. Il “target panic” è solo uno di questi ostacoli.
Ma ecco la verità: come tutti i problemi tecnici, anche questo ha una soluzione. Ci sono difficoltà grandi e piccole, con conseguenze più o meno importanti. La vita – e il tiro con l’arco – ci insegna una cosa fondamentale: una volta che si sa come affrontarle, tutto diventa semplice.
In questo testo voglio fare proprio questo: trasformare il temuto “target panic” (nome catastrofico che ingigantisce il problema invece di risolverlo) in qualcosa di chiaro e affrontabile, passo dopo passo.
L’ancoraggio non è la fine, è solo una tappa
Appena arriviamo all'ancoraggio, il cervello ci manda un messaggio preciso: “Il tiro è finito, rilascia subito.” Ed è in quel momento che tutto si rompe.
La verità, però, è molto più semplice di quanto sembri: dobbiamo rieducare il cervello.
Dobbiamo fargli capire che l’ancoraggio non è la fine del tiro, ma solo una tappa della nostra sequenza. Lo vedremo tra poco nel dettaglio, con esempi pratici e strategie da applicare passo passo.
Ma se anche smettessi di leggere qui, ti basterebbe sapere una cosa: 👉 dopo l’ancoraggio non si rilascia.
Dopo l’ancoraggio si porta indietro il gomito, si finisce l’allineamento, si espande, e solo allora si lascia andare la corda, e poi (sì, anche con l’arco tradizionale) si chiude con il follow-through.
Il cervello: conscio, subconscio e “programmi” di tiro
Capiamo cosa succede davvero nel cervello quando tiriamo con l’arco.
Abbiamo due sistemi che lavorano insieme: il controllo conscio e quello subconscio.
Il primo è quello che dirige le nostre azioni in modo intenzionale: pensiamo a incoccare la freccia, tendere l’arco, mirare, ecc...
Quando un’attività è conscia, possiamo controllarla e modificarla. Il limite? Il cervello conscio può gestire una sola cosa alla volta.
Il subconscio invece funziona diversamente.
Lavora con quella che chiamiamo memoria muscolare (è una semplificazione, ma accettiamola).
In pratica: se ho ripetuto una sequenza abbastanza volte, posso metterla in “pilota automatico” e il corpo la esegue senza che io debba pensarci attivamente.
Un esempio semplice: aprire la porta di casa con le chiavi.
Dal momento in cui le tiri fuori dalla tasca a quando giri la serratura, tutto avviene in automatico.
Ma se hai dei figli piccoli che vogliono provare ad aprire, ti rendi conto di quanto quella sequenza, per loro, non sia affatto automatica: devono imparare come inserire la chiave, in che direzione girare, come usare dita, polso, gomito e spalla insieme, come tenere la tensione giusta per non far richiudere il chiavistello, e nello stesso momento spingere o tirare la porta.
In altre parole, stanno installando il software “aprire porta” nel loro cervello.
E il nostro cervello funziona proprio così: è un computer che accumula programmi nel corso della vita.
Abbiamo il programma “camminare”, “mangiare”, “cantare”, “nuotare”, “tirare con l’arco”…
Questo meccanismo è alla base dell’apprendimento sportivo.
Pensiamo all’atletica o al nuoto: i coach scompongono gesti complessi in movimenti più semplici, li fanno provare uno alla volta, e poi li ricompongono nel gesto completo.
Lo stesso vale per l’arco.
Dividiamo il tiro in pezzi: piccoli passaggi, eseguiti con calma, uno per volta, affinché il corpo impari le posizioni biomeccaniche più corrette.
L’obiettivo è ridurre tensioni inutili, usare i gruppi muscolari più grandi, essere efficienti ovunque possibile.
E dopo poche ripetizioni il cervello inizia a registrare quel gesto come un nuovo programma motorio.
Ecco la buona notizia: non servono anni per correggere vecchie abitudini sbagliate.
Se ho tirato male per vent’anni, non dovrò tirare per altri vent’anni e un mese per migliorare.
Bastano poche centinaia di ripetizioni ben fatte perché il nuovo “software di tiro” diventi dominante.
E anche se metti via l’arco per qualche settimana, non è un dramma, i vecchi programmi motori riaffiorano. Bastano pochi tiri consapevoli: “Oh, cavolo, ho dovuto rifare la fase cognitiva” ecco cosa dice il nostro cervello, ma dopo poco il cervello la farà senza pensarci.
Sembrerebbe che il punto cruciale sia lasciare che la maggior parte del tiro diventi automatica.
Non possiamo pensare a dieci fasi ogni volta che siamo in gara: deve uscire fluido, naturale, come aprire una porta.
L’unica parte che non deve mai andare in automatico (quella che va sempre sentita e vissuta fino in fondo) è la conclusione del tiro, il modo in cui lo portiamo a termine.
C’è però un piccolo ma fondamentale cavillo a cui dobbiamo porre la massima attenzione, perchè è proprio quello che scatena il target panic.
Collegamenti visivi
Torniamo un attimo a noi, al cuore del problema.
Quello che sto per descrivere è successo alla stragrande maggioranza degli arcieri. Forse qualcuno (i cosiddetti Nick mano fredda o cecchini, con un controllo fuori dal comune) non l’ha mai vissuto. Ma per tutti gli altri, me compreso, sì, eccome se è successo.
All’inizio, quando impariamo a tirare, siamo molto cognitivi. Ripercorriamo con la mente le fasi: incocco, sollevo, ancoraggio, mira, rilascio.
All’inizio è tutto nuovo, dobbiamo pensarci. Poi, piano piano, il cervello registra quella sequenza e la trasforma in un programma motorio: dalla freccia che sale alla corda, fino al rilascio.
E qui nasce il problema.
Col tempo, semplifichiamo troppo. Non è più “incoccare, tendere, ancorare, mirare, rilasciare”.
Diventa solo: mirare → rilasciare.
E più lo facciamo, più diventa immediato: mira, rilascio. Mira, rilascio. Mira, rilascio.
Finché, senza nemmeno accorgercene, non arriviamo al punto che basta tirare indietro l’arco… e il colpo parte da solo.
E ci chiediamo: ma che diavolo è successo?
La spiegazione è semplice: il cervello ha costruito un collegamento visivo con il rilascio.
In altre parole, ha legato l’atto di mirare al programma motorio del lasciare andare.
Il subconscio cerca sempre scorciatoie, vuole automatizzare il 100% delle nostre azioni. È un meccanismo utilissimo nella vita quotidiana: ci fa risparmiare energie e ci permette di usare più gruppi muscolari in sinergia.
Ma nel tiro con l’arco, questa scorciatoia diventa un tranello.
Processo automatico e ripresa sicura
Quando lasciamo che il subconscio prenda il comando, succede una cosa pericolosa: alla fine del tiro non siamo più consapevoli di dover aggiungere tensione per completare il follow-through.
In quel momento siamo in balia del nostro subconscio, o meglio… del “sabotatore” che ci abita dentro.
Il risultato? Tiriamo “con la speranza”. E non funziona.
Quanti di noi si sono ritrovati a non ricordare nulla del tiro appena fatto, come se fosse partito da solo?
Ecco il punto: non dobbiamo pensare a dieci cose contemporaneamente quando siamo in gara.
Ma dobbiamo essere consapevoli di una sola cosa fondamentale: mantenere il controllo fino alla fine del tiro.
Se so che la mia mente deve stare lì, se so che devo mantenere la tensione fino al follow-through, allora sì che lascerò andare un buon tiro.
Con un clicker, per esempio, lo stimolo è chiarissimo: finché non sento il clic, resto in tensione.
Il clic diventa il segnale che autorizza il subconscio a far partire il rilascio.
Ma attenzione: se mi metto a pensare “quando farà clic? starà per cliccare?”, rischio di far saltare tutto.
Quello che vogliamo fare è crearci un clicker interiore, ma che può anche essere fisico, come ad esempio quando la piuma ci sfiora la guancia, o quando arriviamo a fine corsa con le scapole, o quando il palmo della mano dell’arco tocca un certo punto, ecc…
I clicker fisici sono molto utili e funzionano da subito, fin dai primi 2 minuti di utilizzo. Ma se riusciamo ad introdurne uno interiore, avremo dei risultati più duraturi e sicuri. Un po’ più impegnativo ma con un risultato migliore. Perchè? Perchè se togliamo il clicker fisico, torneremo nella situazione di prima, ma se ce ne facciamo uno interiore, avremmo risolto per sempre.
Tirare con fiducia o con speranza
Qui entra in gioco la differenza più importante di tutte: tirare con fiducia o tirare con speranza.
Tirare con speranza significa tirare pensando: “La mira è buona, dai, lascio andare… speriamo che vada bene”.
Non c’è controllo, non c’è decisione, solo un affidarsi al caso.
Tirare con fiducia invece è un’altra cosa.
Vuol dire sapere con certezza che stai gestendo il tiro, che sei tu a guidarlo, che la sequenza si chiuderà come hai deciso tu.
È il modo di tirare sotto pressione, in gara, in caccia, in qualsiasi situazione.
È il modo di tirare su richiesta.
Perché sì, il cervello vorrà sempre passare in automatico.
Ma se non hai impostato bene quel “pilota automatico”, rischi che il rilascio arrivi da qualche parte a metà sequenza.
Ed è la sensazione peggiore che un arciere possa avere: il colpo che parte da solo, senza che tu l’abbia deciso.
(Nota importante: non mi sto riferendo alla “surprise release”, che è un rilascio subconscio eseguito al momento giusto, che anzi vogliamo che accada sempre, e di cui parlerò dopo, ma al target panic)
Reazioni collegate, rinforzo e subconscio
C’è poi un’altra cosa da capire, un meccanismo ancora più profondo: il rinforzo corporeo, che è cablato nel nostro sistema nervoso.
Ogni volta che subiamo urti, pressioni o impatti, il corpo reagisce irrigidendosi.
Per dimostrarlo, si può fare questo esercizio:
fai tenere a qualcuno la mano alzata.
poi toccala leggermente con le dita: tutto ok.
rifallo seconda volta: ancora tranquillo.
Ma alla terza volta, improvvisamente, il braccio si irrigidisce, pronto a resistere.
È un riflesso naturale, non lo possiamo controllare.
E succede anche nel tiro con l’arco: nel momento del rilascio, il corpo tende a “rinforzarsi”, a irrigidirsi in previsione dell’impatto.
Se non lo riconosciamo e non lo gestiamo, questo irrigidimento rovina la fluidità e l’efficacia del colpo.
Quando lasciamo andare la corda, il corpo reagisce a urti e pressioni. Nei tiratori sicuri questo irrigidimento è minimo, quasi impercettibile; chi è meno esperto sente invece ogni tensione, ogni distrazione, ogni pressione esterna.
L’ambiente e lo stato mentale giocano un ruolo fondamentale. Tirare a casa, in sicurezza e senza pubblico, è molto diverso che farlo in gara, sotto occhi estranei e con la tensione che sale: l’ipertensione muscolare aumenta, i movimenti si irrigidiscono e la mira può vacillare.
Il nostro cervello cerca sempre di automatizzare i gesti per semplificarci la vita, ma sotto pressione questo automatismo può diventare un nemico: il rilascio avviene troppo presto, la mira si spezza, e l’ansia prende il sopravvento.
Riprendere il controllo
Essendo in uno stato di ansia e stress, vogliamo uscirne e farla finita, farla finita, non ce la faccio più. So che c’è gente che si immedesima in questa situazione, ne sono certo.
Ma! Se sappiamo che, da quel momento in poi: Oh, la mira è fatta, ora devo iniziare a costruire la tensione perché devo arrivare a ciò che fa scattare il mio tiro, allora riprendiamo il controllo sul tiro. Ora non stiamo più tirando con la speranza: chi osserva lo percepisce.
Spero che tutti possiate immedesimarvi in questa situazione. Se avete passato un po’ di tempo con l’arco, capirete esattamente di cosa sto parlando. È il momento in cui ricordiamo a noi stessi dove vogliamo arrivare e lo facciamo accadere.
Rimane il fatto che, alla base di un tiro efficace che centra il bersaglio, ci sono le meccaniche essenziali del tiro con l’arco. Conoscere e padroneggiare questi fondamenti ci permette di trasformare la tensione in precisione, invece di lasciarci guidare dall’ansia o dalla speranza.
Il “segreto” fondamentale: controllo conscio di ogni step
Ecco il cuore della questione, la chiave per superare il target panic: abbiamo installato il nostro “software corretto” di tiro con l’arco, ma non dobbiamo lasciarlo andare in automatico. Ogni step della sequenza va controllato in maniera conscia, e non in modo incrementale. Ogni fase ha la sua durata: appena completata, è finita. Non ci devo più pensare; il mio focus passa subito allo step successivo.
Per chiarire questo concetto, condivido con voi due approcci: uno sbagliato che usavo tempo fa, e uno corretto che funziona davvero.
L’allenamento sbagliato
In passato allenavo ogni singolo step/aspetto della sequenza di tiro isolatamente:
dieci frecce solo per la spinta della mano dell’arco, ignorando tutto il resto;
poi dieci frecce solo per la back tension;
poi dieci frecce solo per l’espansione;
infine, alla fine, provavo a metterli tutti insieme.
Questo approccio è sbagliato per due motivi:
Un buon tiro è l’insieme degli step: non basta spingere bene la mano dell’arco se poi il rilascio è sbagliato. Tutto deve funzionare insieme.
Sovraccarico cognitivo: cercare di fare tutto bene in contemporanea mette il cervello sotto pressione; inevitabilmente qualcosa viene dimenticato.
L’allenamento corretto
La strategia efficace è semplice: ogni step ha uno scopo, va eseguito e poi dimenticato.
Incocco: penso a come farlo correttamente, uncino, senza piegare il polso, ecc... Fatto. Dimenticato.
Allineamento: spalle e mano dell’arco verso il bersaglio. Fatto. Dimenticato.
Ancoraggio: focalizzo la back tension e ricordo che c’è un passo successivo: non rilascio. Fatto. Sono in ancoraggio. Dimenticato.
(all’inizio del recupero dal target panic: resisto alla tempesta mentale che vuole rilasciare: ho resistito, ce l’ho fatta, ora passo al passo successivo)
Espansione: fatto, dimenticato, avanti.
Rilascio e follow-through: completano la sequenza.
In questo modo mantengo il controllo conscio di ogni step, usando un carico cognitivo limitato (ricorda: il controllo conscio può gestire solo una cosa alla volta)
Nota importante: questa non è la mia intera sequenza di tiro, e non è la tua sequenza di tiro. è un esempio per spiegare un concetto. La tua sequenza di tiro la crei tu, basandoti sulle meccaniche del tiro con l'arco.
Nota importante: l’allenamento senza bersaglio a cinque metri di distanza è l’unico sistema valido che ho trovato per recuperare il controllo, re-installare il software corretto e migliorare davvero nel tiro con l’arco. Poi sono passato a dieci metri senza bersaglio, poi il grande passo a dieci metri con grande bersaglio (usavo una targa rigirata bianca con un grande cerchio disegnato a mano).
Allenamento ed esecuzione subconscia
Ok, siamo a buon punto, abbiamo detto che per padroneggiare il tiro, bisogna far sì che la sequenza di tiro diventi conscia. Qui entra in gioco una cosa strana per molti: ci sono due elementi del tiro che devono essere subconsci:
la mira
il rilascio della corda.
Sembra incredibile, ma funziona così: la mente cosciente può concentrarsi su una sola cosa alla volta. Se pensiamo alla mira, non possiamo controllare simultaneamente la tensione sulla corda o altri dettagli del tiro. Vediamolo in dettaglio.
Il processo automatico
Il cervello sa cosa fare: quando siamo in posizione di mira, il rilascio diventa automatico. Questo processo si affina con l’esperienza: diventa sempre più efficiente e veloce, finché il cervello gestisce la sequenza senza intervento cosciente. Non tutti lo sperimentano allo stesso modo; chi ha grande controllo mentale può mantenere una buona mira, ma spesso non riesce a lasciare andare correttamente il tiro.
Mira conscia vs mira subconscia
La mira accade (Ferruccio Berti)
La mira subconscia nel tiro con l’arco è da preferirsi, è possibile che tu lo sappia già, ma se ti sembra un concetto strano o non vero, proviamo a dimostrarlo.
Prendi una freccia in mano, senza arco, e prova a distinguere la mira conscia da quella subconscia.
Prima fase – mira conscia
Punta la freccia su una piccola “O” al centro del bersaglio.
Cerca di controllare costantemente la punta, riportandola al centro se si muove.
Notate cosa succede: il corpo si irrigidisce, i movimenti diventano scattosi e più cerchi di controllare, più la freccia oscilla.
Seconda fase – mira subconscia
Guarda solo la O al centro, lasciate che la freccia si muova liberamente.
Osserva come la punta si stabilizza da sola, più ferma e rilassata. Forse in alcuni momenti ls vedi sdoppiata o non la riesci a mettere a fuoco, ma sai che è lì.
Sintesi:
Mira conscia = tensione e oscillazioni.
Mira subconscia = rilassamento e stabilità naturale.
Esercizio avanzato – lasciare fare al subconscio
Fatti spostare leggermente la mano mentre mantieni lo sguardo sulla O.
Se cerchi di controllare, la freccia torna lentamente e a scatti.
Se lasci fare al subconscio, la freccia torna subito al centro, fluida e precisa.
Terza fase – spostare l’attenzione
Mentre mantieni la mira, aggiungi un compito ritmico con la mano libera, ad esempio: “uno, due, tre…”.
Nota come la punta resti stabile anche se la mente cosciente è occupata altrove.
Punto chiave: Affidatevi al subconscio per la mira. La coscienza può così concentrarsi su tensione, “clicker interiore” e sequenza del tiro, senza interferire con la precisione.
Transizione e tiri lasciati andare
Il momento critico è la prima mira: resisti alla voglia di rilasciare subito permette di gestire il tiro.
Se si riesce ad aspettare, il “misuratore di rilassamento” cresce, e con esso la concentrazione.
Senza rilassamento, non può esserci vera concentrazione.
Tiro corretto:
Arrivo all’ancoraggio.
Metto in tensione.
Confermo mentalmente: “Questa mira è buona, posso lavorarci”.
Aumento gradualmente la tensione fino al rilascio.
Risultato: il colpo parte fluido e naturale.
Tiro non controllato: se non si passa alla fase di tensione crescente, il colpo rimane bloccato o viene lasciato andare in modo errato.
Rilascio subconscio e gestione della tensione muscolare
Abbiamo visto come la mira subconscia possa diventare automatica e perchè questo sia migliore. L’altro passaggio fondamentale da lasciare al subconscio è il rilascio. Proprio come per la mira, non devi pensarci: accade da sé.
Se provi a concentrarti sul rilascio dicendo “voglio aprire la mano e rilasciare”, inneschi automaticamente tensioni muscolari che influenzano la corda e la traiettoria della freccia.
Vediamo perché succede, come funziona e come puoi allenare il rilascio subconscio per renderlo naturale e preciso.
Per capire il rilascio subconscio nel tiro con l'arco, bisogna conoscere i flessori della mano, quei muscoli che chiudono le dita sulla corda (li puoi sentire sulla parte esterna dell’avambraccio se fai finta di “suonare il piano con le dita”). Il loro comportamento è fondamentale: se restano tesi al momento sbagliato, la corda fatica a passare e la freccia non vola come dovrebbe. L’obiettivo dell’esercizio è proprio insegnare al cervello a farli rilassare automaticamente, senza pensarci.
Per iniziare, prova questo esercizio: aggancia la corda come se stessi preparando l’arco, irrigidisci la mano e avvolgi l’altra intorno per sentire tutti i muscoli coinvolti. Ora, scarica tutta la tensione in un istante: lascia che la mano si rilassi completamente. Noterai subito come i flessori si ammorbidiscono e la mano diventa morbida e pronta al rilascio.
Se invece provi ad aprire le dita lentamente, concentrandoti coscientemente sul rilascio, noterai che i flessori restano tesi. La corda scorre a fatica tra le dita, il gesto diventa “appiccicoso” e impreciso.
Il meccanismo del rilascio subconscio funziona in modo diverso: il cervello invia automaticamente un impulso ai flessori e, per una frazione di secondo, la mano si rilassa da sola, permettendo alla corda di scorrere senza resistenza. Se provi a controllare troppo, interferisci con questo processo e il rilascio diventa difficile e meno fluido. Paradossalmente, la chiave è mantenere la rigidità della mano, senza pensare al rilascio, lasciando che la corda scorra: il cervello sa esattamente come attivare i flessori al momento giusto.
Per capirci meglio, penso che molti di voi l’abbiano già visto negli altri arcieri, o sperimentato personalmente. Quando parliamo di rilascio conscio, intendo quel gesto in cui vedete l’arciere aprire la mano o distendere le dita con l’intenzione di lasciare andare la corda. Le dita spesso finiscono lontano dal viso e dall’ancoraggio, creando il classico “rilascio strattapo”: un gesto brutto da vedere e, soprattutto, inefficace. In pratica, se pensi attivamente “adesso rilascio la freccia”, la mano si apre e il rilascio risulta scoordinato.
Al contrario, il rilascio subconscio è completamente diverso. In questo caso, la mano resta nella posizione ad uncino, compatta e ferma, e solo quando la corda parte, si rilassa per una frazione di secondo e si muove naturalmente dietro l’orecchio o la nuca. Non è un gesto pensato o controllato, ma una conseguenza della tensione corretta che parte dopo l’ancoraggio. Questa tensione nasce dalla scapola che spinge contro la colonna vertebrale e ruota verso il basso, creando una catena di movimento che fa partire la freccia senza intervento cosciente della mano.
Parentesi: questo esempio mostra quanto sia fondamentale la corretta tecnica e la back tension, perché il rilascio subconscio nel tiro con l'arco dipende da come la forza si distribuisce lungo il corpo. Ma di questo parleremo più a fondo in un’altra occasione.
Benefici di un rilascio subconscio corretto
La corda passa senza resistenza.
L’arco è più silenzioso.
La traiettoria della freccia è regolare.
Le dita non si affaticano.
Aggiungere la tensione correttamente
La tensione va inserita nel momento giusto, soprattutto attraverso il gomito e la scapola, per un rilascio naturale e potente.
Esercizio pratico per costruire il rilascio subconscio
Prepara il “cordino”: Prendi un filo, uno spago o un pezzo di corda simile a quella dell’arco. Taglialo a circa il doppio del tuo allungo (se non lo conosci, 65 cm vanno bene). Fai un nodo a un’estremità per creare un “cerchio”.
Posizione di partenza: Metti il cordino in tensione come faresti con un arco: spingi con la “mano dell’arco” e tira con la “mano della corda”. Mantieni un uncino stabile e fermo.
Il movimento di rilascio: Inizia a tirare leggermente e lentamente con la mano della corda, concentrandoti sul portarla dietro la nuca senza aprirla e senza rompere l’uncino.
poi, con un movimento immediato, repentino e veloce (quasi uno strattone o strappo) portala dietro la nuca
La mano deve rimanere ferma e “chiusa”, come se stessi tenendo una pallina da tennis tra le dita, senza usare il pollice.
Osserva il rilascio subconscio: noterai che, durante il movimento, le dita si rilassano automaticamente per una frazione di secondo e lasciano “uscire” la corda senza sforzo. Questo è il rilascio subconscio in azione.
Step avanzato: Una volta che ti senti a tuo agio, prova a generare la tensione partendo da gomito e scapola, come faresti in un vero tiro, e lascia che il rilascio avvenga naturalmente.
Step avanzato 2: col tempo (possono volerci settimane) sostituisci gradualmente il movimento immediato, repentino e veloce con uno lento e costante di espansione.
Conclusioni
Quindi, abbiamo chiuso il cerchio.
Prima, il target panic con il nostro arco storico o tradizionale ci bloccava: appena arrivavamo all’ancoraggio, non sapevamo cosa fare, e il cervello, col pilota automatico, ci spingeva a rilasciare subito.
Adesso, l'abbiamo superato, o comunque abbiamo degli strumenti potenti per farlo. Sappiamo esattamente cosa fare ad ogni step. Quando arrivi all’ancoraggio, hai pieno controllo: porti il gomito in linea se non lo è, punti con mente e occhi al bersaglio, permettendo al corpo e al cervello di allinearsi in maniera subconscia. Solo a quel punto inizi l’espansione, la scapola e il gomito fanno partire il rilascio subconscio, fluido e naturale.
Ogni azione ha il suo momento. Ogni movimento è sotto controllo. Il pilota automatico lavora per te, non contro di te. Adesso sei tu a decidere il ritmo del tiro.
In sintesi, il target panic nel tiro con l’arco non è una condanna: con il giusto allenamento e una sequenza di tiro conscia, sia con l’arco tradizionale che con l’arco storico, puoi riprendere il controllo e tornare a tirare con fiducia.
Bonus: come migliorare e tracciare i progressi
Dopo aver letto questo testo, spero che tu non rimanga fermo sulla teoria, ma che provi subito. Già dalla prossima sessione puoi iniziare ad applicare questi principi, e ti assicuro che la sensazione è unica: vedere un problema tecnico che piano piano si risolve, sentire il bersaglio che smette di fare paura e lascia spazio alla sicurezza. È una gratificazione che cresce ad ogni freccia.
Persino il “lavoro alla paglia” a cinque metri, che a prima vista sembra banale e noioso, può dare una soddisfazione enorme se lo vivi come parte del percorso. Perché il miglioramento non è solo colpire il centro: è imparare a leggere i tuoi progressi e a costruire fiducia col tempo.
E qui entra in gioco un concetto fondamentale: obiettivo → programma → tracciamento → processo.
Quattro passi semplici che cambiano tutto.
Come si fissa un obiettivo
Un obiettivo a lungo termine è importante: ad esempio, “l’anno prossimo voglio vincere la gara X” oppure “voglio arrivare a X punti”. Sono mete che ci accendono l’entusiasmo, ma da sole non bastano a guidarci nel miglioramento quotidiano.
Il segreto è spezzarle in obiettivi più piccoli, concreti e raggiungibili nel breve o medio termine.
Non obiettivi vaghi come “voglio fare 6 invece che 5”, ma target tecnici chiari, come:
“alla prossima gara voglio mantenere la back tension in almeno 8 tiri su 10”
“in allenamento voglio eseguire 20 tiri con la spalla della corda sempre bassa”
Sono obiettivi che puoi allenare, verificare e misurare. E soprattutto, ti danno feedback immediato: sai se stai migliorando oppure no.
Traccia i tuoi progressi
Non lasciare che i tuoi miglioramenti restino solo una sensazione: scrivili. Puoi tenere un diario, usare un’app, o persino un foglio a quadretti. Segna l’obiettivo della sessione, come ti sei sentito e i risultati ottenuti. Rileggendo dopo settimane, ti accorgerai di quanta strada hai fatto: è motivazione pura.
Goditi il processo
Non correre: il miglioramento non è una scalata verticale, ma una serie di piccoli passi che ti portano sempre più in alto. Ogni volta che risolvi un dettaglio tecnico, non stai solo diventando un arciere più solido: stai costruendo fiducia in te stesso.
E questa fiducia, un giorno, sarà la tua arma più potente contro il “target panic”.
C’è un’ultima cosa che a volte può scoraggiare, ma che in realtà spero ti sproni ancora di più: man mano che miglioriamo e risolviamo una lacuna tecnica, inevitabilmente ne emerge un’altra. Ed è proprio questo il bello. Significa che stai crescendo, che stai raffinando il gesto, che hai occhi più attenti e consapevoli.
Il percorso dell’arciere - come nella vita - è fatto di piccoli passi. I miglioramenti sono lenti e continui, e devono esserlo: un gesto, una volta interiorizzato, richiede tanta pratica per trasformarsi in naturalezza. E quando finalmente diventi esperto di quel gesto, subito ti accorgi qual è lo step successivo, la nuova sfida, il prossimo punto che vuoi affinare.
Ogni lacuna superata è un mattoncino in più. Presa da sola sembra poca cosa, ma se tra un anno ti volterai indietro, scoprirai con stupore quanta strada hai fatto.
Quindi… daje, e buone frecce! 🏹
FAQ - Target Panic e Miglioramento nel Tiro con l’Arco
1. Cos’è il target panic e perché compare negli arcieri? Il target panic è una condizione mentale che porta l’arciere a perdere il controllo sulla fase di mira e di rilascio. Può manifestarsi con l’incapacità di fermarsi sul bersaglio, con rilascio anticipato o con blocchi durante la trazione. Le cause principali sono stress, eccessiva pressione sul risultato, cattive abitudini tecniche e mancanza di una routine solida. Ma soprattutto, associare la mira al rilascio.
2. Come può un arciere superare il target panic? Il primo passo è riconoscere le cause che portano al rilascio precoce: capirle significa essere già a metà strada. Da lì inizia il vero lavoro, ovvero “riscrivere il software” mentale, sostituendo il rilascio anticipato con la corretta sequenza di azioni da eseguire una volta raggiunta l’ancoraggio.
3. Qual è la differenza tra allenarsi “tirando frecce” e seguire un allenamento strutturato? Tirare frecce senza metodo consolida errori e cattive abitudini. Un allenamento strutturato, invece, permette di lavorare su obiettivi specifici (postura, rilascio, respirazione, concentrazione) e di monitorare i progressi. Questo approccio riduce il rischio di target panic e porta miglioramenti duraturi nella performance.